La vita

Arthur Schopenhauer nasce a Danzica nel 1788 da un ricco commerciante e da una scrittrice di romanzi. Quando Danzica cessa di essere “città libera” e viene inglobata nella Prussia, suo padre, fervente repubblicano, trasferisce la famiglia ad Amburgo, altra città libera dell’ Hansa.

La sua giovinezza è costellata di viaggi, nei quali il padre vede uno strumento di istruzione e di preparazione professionale del commercio: egli soggiorna per due anni a Le Havre, in Francia (1797-99), visita Praga (1800), compie con i genitori un lungo viaggio attraverso l’ Olanda, Inghilterra, Francia, Svizzera, Austria, Prussia.

Dopo la morte del padre, suicida nel 1805, gli succede per breve tempo nell’ attività commerciale, ma poi decide di dedicarsi agli studi.

La madre, intanto, trasferitasi a Weimar, apre un salotto letterario, frequentato anche da Goethe, con cui il giovane Arthur avrà qualche incontro dove anche egli vive.

Il punto di partenza delle opere di Goethe, in linea con ciò che propugnavano gli aderenti allo Sturm und Drang, è che gli aspetti più profondi della realtà non siano accessibili unicamente tramite la ragione (come credevano gli Illuministi) ma anche col ricorso al sentimento e all’intuizione.

Le influenze dalle filosofie orientali

buddismo e induismo: influenza delle filosofie orientali in Schopenhauer

Il suo pensiero recupera alcuni elementi dell’illuminismo, della filosofia di Platone, del romanticismo e del kantismo, fondendoli con la suggestione esercitata dalle dottrine orientali, specialmente quella buddhista e induista.

Schopenhauer crea una sua originale concezione filosofica caratterizzata da un forte pessimismo, la quale ebbe una straordinaria influenza, seppur a volte completamente rielaborata, sui filosofi successivi, come ad esempio Friedrich Nietzsche (che a sua volta influenzò correnti politiche e generazioni successive), e in generale, sulla cultura europea del periodo e successiva, inserendosi nella corrente delle filosofie della vita.

La sua filosofia, il suo pensiero, apre la strada a pensatori e artisti. Al nichilismo ed a nuove visioni della società

La filosofia di Schopenhauer è molto articolata. Nella sua opera giovanile, Il mondo come volontà e rappresentazione, che contiene già gran parte del suo pensiero, poi riedita con aggiunte, Schopenhauer sostiene che il mondo è fondamentalmente ciò che ciascun uomo vede (“relativismo”) tramite la sua volontà, nella quale consiste il principio assoluto della realtà, nascosto alla ragione. La sua analisi pessimistica lo porta alla conclusione che i desideri emotivi, fisici e sessuali, che presto perdono ogni piacere dopo essere stati assecondati, ed infine divengono insufficienti per una piena felicità, non potranno mai essere pienamente soddisfatti e quindi andrebbero limitati, se si vuole vivere sereni. La condizione umana è completamente insoddisfacente, in ultima analisi, e quindi estremamente dolorosa.

Di conseguenza, egli ritiene che uno stile di vita che nega i desideri, simile agli insegnamenti ascetici dei Vedānta e delle Upanishad dell’induismo, del Buddhismo delle origini, e dei Padri della Chiesa del primo Cristianesimo, nonché una morale della compassione, è quindi l’unico vero modo, anche se difficile per lo stesso filosofo, per raggiungere la liberazione definitiva, in questa vita o nelle successive. Sull’esistenza di Dio, Schopenhauer è invece ateo, almeno per quanto riguarda la concezione occidentale moderna.

Il velo di Maya: la “spaventosa” illusione del mondo

La filosofia di Schopenhauer si può considerare da molti punti di vista romantica: vi è una forte componente di irrazionalismo, e vi sono anche numerose influenze del mondo orientale. La sua opera più importante è “Il mondo come volontà e rappresentazione”

E’ il velo di Maya (un concetto ripreso dalle filosofie orientali e fatto proprio dalle società di ricerca spirituale del tempo (es. H.P. Blavatsky) che ci fa vedere il mondo in un certo modo, ma in realtà esso è solo un sogno.

Arthur Schopenhauer era convinto che il mondo fosse avvolto da un velo creatore di mere illusione, che lui chiamò ‘velo di Maya’ nell’opera Il mondo come mia rappresentazione: ‘È Maya – così scrive – il velo ingannatore, che avvolge il volto dei mortali e fa loro vedere un mondo del quale non può dirsi né che esista, né che non esista; perché rassomiglia al sogno, rassomiglia al riflesso del sole sulla sabbia, che il pellegrino da lontano scambia per acqua; o anche rassomiglia alla corda gettata a terra, che egli prende per un serpente’

L’uomo quindi, è costretto a vivere inconsapevolmente in un inferno dove lui vale poco e niente: non è lui – secondo Schopenhauer – a decidere per se stesso e crede, per giunta, che esista davvero la vera felicità.